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Di Francesca Campora

Strategia Europa 2020, Agenda 2030: tiriamo le somme, lavoriamo insieme per raggiungere nuovi traguardi

Ed eccoci giunti al 2020, termine entro il quale, 10 anni fa, noi europei ci prefissammo il raggiungimento di importanti obiettivi ambientali ed economici: la strategia Europa 2020, ovvero l’agenda dell’UE per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, fu infatti adottata dal Consiglio europeo nel giugno 2010 con il fine principale di superare le difficoltà strutturali dell’economia europea, migliorandone competitività e produttività e cogliendo gli impulsi al cambiamento e all’innovazione offerti dalle sfide climatiche globali.
Gli obiettivi furono raggruppati in cinque macro aree: occupazione (obiettivo 75% di occupati tra 20 e 64 anni); ricerca e sviluppo e innovazione (3% del PIL UE in materia); cambiamenti climatici ed energia (-20% di emissioni di gas serra rispetto al 1990, 20% di energia prodotta da fonti rinnovabili, +20% di efficienza energetica); istruzione (tasso di abbandono scolastico sotto il 10% e almeno il 40% di laureati tra 30 e 34 anni); povertà ed esclusione sociale (-20 mln di persone a rischio povertà).
Ogni Paese tradusse questi target comunitari in target nazionali, sulla base della propria situazione economica e sociale di partenza e i singoli progressi valutati dalla commissione europea, nell’ambito del semestre europeo.

A che punto siamo quindi?
Lo scorso ottobre L’Eurostat (l’Istituto Statistico dell’Unione europea) ha pubblicato l’edizione 2019 dello Studio “Smarter, greening, more inclusive. How is the European Union progressing towards its Europe 2020 targets?”, che analizza i progressi dell’UE e dei suoi Stati membri verso il raggiungimento degli obiettivi fissati per il 2020.
Dallo studio emerge che l’Europa ha compiuto progressi sostanziali nel settore del cambiamento climatico e dell’energia ed è in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di gas a effetto serra, energie rinnovabili ed efficienza energetica. L’obiettivo occupazionale risulta realisticamente raggiungibile a patto che la crescita si confermi a ritmo attuale.
Gli investimenti in ricerca e sviluppo e la riduzione del rischio di povertà e di esclusione sociale rimangono invece lontani dagli obiettivi.

Probabilmente non è utile fare una semplice distinzione tra ambiti di successo e insuccesso: dal 2010 ad oggi la complessità e la correlazione delle problematiche è aumentata in modo esponenziale e, osservata da qui, dalle criticità che il nostro tempo è andato inesorabilmente accumulando dal più ampio punto di vista sociale, la strategia elaborata al tempo, seppur indispensabile per delineare un primo importante cambio di rotta del modello energetico a tutela dell’ambiente, risulta non adeguata a intercettare, stimolare e incoraggiare tutte le leve utili al cambiamento. Un cambiamento profondo e duraturo è oggi possibile solo partendo da un modello allargato e inclusivo, capace di impegnare in sfide e obiettivi non solo la dimensione pubblica ma anche quella privata e favorendo il più possibile l’integrazione di questi due livelli nell’elaborazione e implementazione delle soluzioni.
Ed ecco quindi che già nel 2015, di fronte un’evidente aumento della complessità della situazione globale, le Nazioni Unite hanno approvato l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile e i relativi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (Sustainable Development Goals – SDGs nell’acronimo inglese), articolati in 169 Target da raggiungere entro il 2030. Un evento davvero al passo con i tempi perché, non solo è stato espresso un chiaro giudizio sull’insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo – non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico e sociale – ma tutti i Paesi, senza più distinzione tra Paesi sviluppati, emergenti e in via di sviluppo, sono chiamati a contribuire allo sforzo di portare il mondo su un sentiero sostenibile; ogni Paese deve impegnarsi a definire una propria strategia di sviluppo sostenibile che consenta di raggiungere gli SDGs, rendicontando sui risultati conseguiti all’interno di un processo coordinato dall’Onu.

L’aspetto più interessante e realisticamente vero fattore di successo è che, per come è stata pensata e disegnata, l’Agenda 2030 richiede un forte coinvolgimento di tutte le componenti della società, dalle imprese al settore pubblico, dalla società civile alle istituzioni filantropiche, dalle università e centri di ricerca agli operatori dell’informazione e della cultura e considera ogni dimensione della vita umana – ambientale, sociale, culturale, economica – strategica per incubare nuove, più equilibrate e più giuste forme di sviluppo.

Tornando agli obiettivi per il 2020, possiamo considerare incoraggiante che importanti target ambientali siano stati raggiunti perché ci dice che, in ogni Paese, seppur con le dovute differenze, il livello pubblico ha saputo mettere in atto politiche e scelte adeguate al cambiamento. Un primo importante passo. E se anche oggi sempre più chiaramente sappiamo che non può essere sufficiente e che le sfide sono sempre più ampie, complesse e multidimensionali, l’Agenda 2030 ci indica un metodo, ci dice che quel livello pubblico che ha già dimostrato di poter dare risposte, può e deve collaborare con altre dimensioni sociali per mettere a punto soluzioni altrettanto ampie, complesse e multidimensionali…ovvero, sostenibili.

Imprese, organizzazioni civili, enti no profit, associazioni, singoli filantropi, cittadini o innovatori…da qui arrivano ogni giorno contributi, visioni, impulsi, alternative.

La vera sfida oggi non è tanto cambiare, ma lasciare che il cambiamento si realizzi già nel modo in cui cambiamo.
Pronti, come sempre, a fare la nostra parte.

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